Alice e Pippo, due cuori speciali

Parte terza: "ricordi amari"

“Io ho già sentito questa frase da qualche parte”, ripeteva Enrico tra sé.
“Sono sicuro d’aver sentito questa frase: Gesù ti ama”, rimuginava, scavava, mentre il treno si rimise a correre.
“Hai capito cosa ti ho detto prima, giovane Enrico?”, insistette subito il signor Pietro, non appena la tranquillità tornò nello scompartimento.
“Sì, che Gesù mi ama?! Ma stavo considerando di aver sentito questa frase da qualche altra parte! Qualcun’altro me lo ha detto, ma non riesco a ricordare”, Enrico non riusciva a non pensare ad alta voce.
Il significato di quella frase sembrava essere legata ad un ricordo, più che al suo significato.
C’era dell’amaro dietro quel ricordo
C’era qualcosa di talmente doloroso, che lo aveva indotto a dimenticare!
“Deve essere stato quand’ero ragazzo”.
Il signor Pietro non parlava, osservava Enrico impegnato a rovistare nella memoria.
Aveva intuito il suo bisogno di parlare di sé e del suo passato.
Ascoltava.
“Ricordo delle risate. Ricordo brutti sentimenti. Forse, è da allora che ho deciso che Dio non esiste!Fa male, ma devo capire”!
Firenze era ancora una mèta lontana
La fine della ricerca nei ricordi di Enrico stava terminando.
“Pippo!”
Esclamò guardando nuovamente negli occhi il signor Pietro.
“Chi è Pippo?” chiese il nonnino.
“Pippo… Pippo, signor Pietro, era lo scemo del paese -sospirò- tutti noi ragazzi lo prendevamo sempre in giro, perché non era normale: era un ragazzo down”.
Gli occhi di Enrico si erano arrossati e il nonnino annuiva in segno di comprensione.
“Pippo girava per il paese, sempre felice, fischiettando! Pippo aveva strani atteggiamenti e non capiva tante cose! Pippo era diverso, non era normale, ma aveva genitori che lo amavano intensamente! E noi ragazzi del quartiere non comprendevamo, non capivamo! Più lo prendevamo in giro e più lui sembrava essere immune!”
Enrico sembrava vedere tutta la scena davanti a sé e fissando il vuoto continuava a raccontare.
“Noi ragazzi non capivamo, così abbiamo pensato che sicuramente avrebbe smesso di fischiettare ed essere felice se gli avessimo fatto un pessimo scherzo!”, fece una pausa.
“Ci siamo organizzati per benino. Tutto era pronto. L'obiettivo era vedere quell’essere piangere e diventare triste. Noi ritenevamo fosse quella cosa giusta, perchè era anormale, diverso. Doveva piangere e smettere di fischiare!”
Enrico aveva lo sguardo fisso e freddo, come se fosse tornato a quei momenti
“Come faceva a non notare la sua diversità, e come si poteva amare una persona come lui?
Volevamo solo farglielo notare”.
Enrico raccontava quell’episodio come un fiume in piena, un orribile scherzo, fatto con i suoi amici.
 L’avevano aspettato, l’avevano legato, imbrattato con sterco, l’avevano umiliato facendolo guardare in uno specchio, lo avevano insultato, sputato, schiaffeggiato, buttato a terra, imprecando le peggiori offese.
“E sì, signor Pietro, ci siamo riusciti. Abbiamo visto Pippo piangere. Ancora ricordo le lacrime rigare il suo viso. Grandi e grosse lacrime, singhiozzi rumorosi, quasi cavernicoli. Era impressionante ed era la conferma che quello non era un essere umano come tutti”
Gli occhi di Enrico diventavano lucidi.
“Ci siamo fermati soltanto quando Pippo ha cominciato a urlare! Urla disumane, facevano paura. Cosi abbiamo deciso di lasciar stare e andare via, scappare”.
Il signor Pietro era visibilmente commosso che cominciò a sfregarsi il dorso della mano sotto il naso.
“Ma mentre stavo andando via, Pippo mi afferrò una gamba, e invece di tirarmi giù per farmi cadere, gridò:
“GESU’ TI AMA!”
Gli occhi di Enrico erano sempre più colmi di lacrime. Il mondo intorno a sé non c’era più.
 Era tornato ragazzo e lottava contro tanti sentimenti contrastanti.
Il signor Pietro gli mise istintivamente il braccio intorno alle spalle, mentre Enrico continuava a piangere, curvo con il viso tra le mani.
Un pianto liberatorio
“Ecco perché non voglio Alice! Dio mi ha punito mandandomi Alice! A me è toccato un esserino come lei, per punirmi di ciò che ho fatto a Pippo”.
Il signor Pietro cercava di comprendere le parole di Enrico, tra i singhiozzi e i sussurri.
Gli chiese: “Ragazzo mio, chi è Alice? Chi ti ha punito? Cosa vuol dire”?
“Signor Pietro, la mia bambina è down. Alice è down. Eravamo in tempo per… ma mia moglie, Michaela, non ha voluto abortire. Ha sempre detto che voleva accettare ciò che Dio ci dava!”, proseguì, “quella non è una bambina normale! Non c’è futuro, non c’è normalità, non c’è nulla per lei! Nessuno la vorrà e neanche io la voglio. Non ha ragione di esistere e il suo destino è già segnato! Forse sarà anche sempre allegra e io non la sopporterò, non potrò guardarla.
Alice è la mia punizione, per ciò che ho fatto a Pippo!

Esther Kaptein

Commenti